È un pomeriggio di fine giugno, il gran caldo è già arrivato e in studio purtroppo l’assenza dell’aria condizionata si fa sentire, l’unico refrigerio arriva da un ventilatore che in questo periodo fa gli straordinari. Suona il campanello, è Paola che arriva in perfetto orario per la sua terza seduta di psicoterapia.
Come sempre è impeccabile, il vestito di cotone bianco che indossa non ha una piega. La pettinatura è perfetta, i capelli sono lucenti e il suo profumo inebria la stanza. Mi stringe la mano, si siede e con una postura leggermente rigida sembra aspettarsi che io le dica qualcosa.
“Come sono state queste due settimane?”, le chiedo. Risponde con un tono stizzito e nervoso: “Come tutte le altre, vivo le mie giornate con l’ossessione di dover fare tutto, sistemare tutto senza lasciare nulla al caso”.
Paola arriva da me perché non riesce a tollerare il suo perfezionismo e l’estremo bisogno d controllare tutto. Anche uscire a bere un caffè con un amico o mangiare una pizza con la sua famiglia diventa fonte di stress per lei perché sente la necessità di programmare l’incontro settimane prima, perdendo però così la spontaneità del gesto.
Secondo Paola all’origine di tutto c’è la madre, o per lo meno questa è la spiegazione che finora lei si è data per il problema che mi porta.
Mi confida che la madre è sempre stata una perfezionista, sistemava tutto in casa, tutto era sempre in ordine, programmava le vacanze per tutta la famiglia e gli imprevisti non erano contemplati.
In questi primi tre incontri emerge chiaramente che Paola non riesce a trovare una soluzione intermedia alla sua fatica, qualcosa che le permetta di ottenere degli spazi di disordine che possano alleggerirla.
Durante la seduta le chiedo di provare a mettere in atto nelle prossime settimane un piccolo stratagemma che potrebbe esserle d’aiuto.
Quando ci si sente costretti a programmare e pianificare le giornate in modo ossessivo, spinti dall’idea che ogni cosa deve essere sotto il proprio controllo, l’unica soluzione è cominciare a introdurre delle piccole trasgressioni giornaliere.
Chiedo a Paola di decidere quali possono essere delle azioni o attività che ometterà di eseguire in modo volontario e successivamente osservare le proprie reazioni. Dovrà continuare così almeno per un paio di settimane, tralasciando ogni volta di portare a terminare un punto del programma.
Questo stratagemma gioca con il disturbo ossessivo: lo asseconda anziché controllarlo.
Il tentativo di estinguere immediatamente il sintomo spesso è fallimentare, anzi può n realtà peggiore la situazione. Attraverso piccole e impercettibili variazioni, invece, si riescono a generare apprezzabili miglioramenti, evitando le normali resistenze al cambiamento.
Come sempre è impeccabile, il vestito di cotone bianco che indossa non ha una piega. La pettinatura è perfetta, i capelli sono lucenti e il suo profumo inebria la stanza. Mi stringe la mano, si siede e con una postura leggermente rigida sembra aspettarsi che io le dica qualcosa.
“Come sono state queste due settimane?”, le chiedo. Risponde con un tono stizzito e nervoso: “Come tutte le altre, vivo le mie giornate con l’ossessione di dover fare tutto, sistemare tutto senza lasciare nulla al caso”.
Paola arriva da me perché non riesce a tollerare il suo perfezionismo e l’estremo bisogno d controllare tutto. Anche uscire a bere un caffè con un amico o mangiare una pizza con la sua famiglia diventa fonte di stress per lei perché sente la necessità di programmare l’incontro settimane prima, perdendo però così la spontaneità del gesto.
Secondo Paola all’origine di tutto c’è la madre, o per lo meno questa è la spiegazione che finora lei si è data per il problema che mi porta.
Mi confida che la madre è sempre stata una perfezionista, sistemava tutto in casa, tutto era sempre in ordine, programmava le vacanze per tutta la famiglia e gli imprevisti non erano contemplati.
In questi primi tre incontri emerge chiaramente che Paola non riesce a trovare una soluzione intermedia alla sua fatica, qualcosa che le permetta di ottenere degli spazi di disordine che possano alleggerirla.
Durante la seduta le chiedo di provare a mettere in atto nelle prossime settimane un piccolo stratagemma che potrebbe esserle d’aiuto.
Quando ci si sente costretti a programmare e pianificare le giornate in modo ossessivo, spinti dall’idea che ogni cosa deve essere sotto il proprio controllo, l’unica soluzione è cominciare a introdurre delle piccole trasgressioni giornaliere.
Chiedo a Paola di decidere quali possono essere delle azioni o attività che ometterà di eseguire in modo volontario e successivamente osservare le proprie reazioni. Dovrà continuare così almeno per un paio di settimane, tralasciando ogni volta di portare a terminare un punto del programma.
Questo stratagemma gioca con il disturbo ossessivo: lo asseconda anziché controllarlo.
Il tentativo di estinguere immediatamente il sintomo spesso è fallimentare, anzi può n realtà peggiore la situazione. Attraverso piccole e impercettibili variazioni, invece, si riescono a generare apprezzabili miglioramenti, evitando le normali resistenze al cambiamento.