Una delle domande che spesso rivolgo ai pazienti durante le nostre terapie è proprio questa: “cosa stai tollerando oggi che non ti rende felice?”
Partiamo dal presupposto che il cervello non ama i cambiamenti, i rischi e le minacce. Le nostre abitudini e il nostro modo di vivere consolidato e ripetuto da molti anni ci permettono in qualche modo di stare bene, o almeno apparentemente.
Tutti noi abbiamo una “zona di comfort”, all’interno della quale ci si sente perfettamente a proprio agio e si è consapevoli di avere tutto sotto il proprio controllo, sperimentando bassissimi livelli di ansia e stress. Nella "zona di comfort", i comportamenti e le prestazioni di un individuo divengono costanti e ripetitivi perché è ciò che ci fa stare bene.
A volte però questo meccanismo si irrigidisce e di fronte a situazioni nuove che potrebbero compromettere la “zona di comfort” è proprio il cervello stesso ad indicarci l’adattamento.
“Adattati anche se non sei felice, perché la sicurezza è garanzia di sopravvivenza”, ci ripetiamo costantemente.
Nonostante il cervello resista ai cambiamenti e ci invita elegantemente a rimanere nella nostra “zona di comfort”, esso è geneticamente programmato per affrontare i cambiamenti e le sfide per sopravvivere.
Secondo le idee di Alasdair White, appena oltre i confini della "zona di comfort" vi sarebbe una "zona di apprendimento", nella quale le prestazioni di un individuo possono essere migliorate provando una certa quantità di stress; oltre la "zona di apprendimento" risiede invece la "zona di pericolo", nella quale si sperimentano altissimi livelli di ansia che spesso compromettono le prestazioni di un individuo.
Benché la "zona di comfort" sia rassicurante, è importante varcarne i confini per permetterci di eliminare le convinzioni limitanti, accrescere l'autostima e migliorare il proprio rendimento; inoltre, affrontare lo stress e smettere di consolidare nuove abitudini permette alla mente di partecipare al processo decisionale e di vivere così nuove esperienze.
Forse abbiamo dimenticato che a volte per essere felici occorre solo prendere decisioni e liberarsi delle scarpe del numero sbagliato e correre il rischio di camminare scalzi.
Partiamo dal presupposto che il cervello non ama i cambiamenti, i rischi e le minacce. Le nostre abitudini e il nostro modo di vivere consolidato e ripetuto da molti anni ci permettono in qualche modo di stare bene, o almeno apparentemente.
Tutti noi abbiamo una “zona di comfort”, all’interno della quale ci si sente perfettamente a proprio agio e si è consapevoli di avere tutto sotto il proprio controllo, sperimentando bassissimi livelli di ansia e stress. Nella "zona di comfort", i comportamenti e le prestazioni di un individuo divengono costanti e ripetitivi perché è ciò che ci fa stare bene.
A volte però questo meccanismo si irrigidisce e di fronte a situazioni nuove che potrebbero compromettere la “zona di comfort” è proprio il cervello stesso ad indicarci l’adattamento.
“Adattati anche se non sei felice, perché la sicurezza è garanzia di sopravvivenza”, ci ripetiamo costantemente.
Nonostante il cervello resista ai cambiamenti e ci invita elegantemente a rimanere nella nostra “zona di comfort”, esso è geneticamente programmato per affrontare i cambiamenti e le sfide per sopravvivere.
Secondo le idee di Alasdair White, appena oltre i confini della "zona di comfort" vi sarebbe una "zona di apprendimento", nella quale le prestazioni di un individuo possono essere migliorate provando una certa quantità di stress; oltre la "zona di apprendimento" risiede invece la "zona di pericolo", nella quale si sperimentano altissimi livelli di ansia che spesso compromettono le prestazioni di un individuo.
Benché la "zona di comfort" sia rassicurante, è importante varcarne i confini per permetterci di eliminare le convinzioni limitanti, accrescere l'autostima e migliorare il proprio rendimento; inoltre, affrontare lo stress e smettere di consolidare nuove abitudini permette alla mente di partecipare al processo decisionale e di vivere così nuove esperienze.
Forse abbiamo dimenticato che a volte per essere felici occorre solo prendere decisioni e liberarsi delle scarpe del numero sbagliato e correre il rischio di camminare scalzi.