L’invecchiamento rappresenta un passaggio della vita a cui tutti vengono sottoposti. Dentro a questo processo inesorabile ed inevitabile, il nostro corpo porta i segni di una battaglia senza colpi risparmiati, di un tempo che molti vorrebbero non finisse mai. Quando però l’invecchiamento si fa carico anche di una malattia degenerativa come il morbo di Alzheimer, sembrerebbe che sulla bilancia ci siano più cose che stiamo perdendo che quelle che abbiamo guadagnato durante tutta una vita. E se già la vecchiaia può essere considerata un lutto parziale, un fare i conti con un lutto anticipatorio di noi stessi (Cazzaniga, 2018), la demenza rappresenta una sorta di lutto “bianco” costante di parti del sé, dell’altro, del proprio corpo, della propria realtà che diventa un fermo immagine. Ed è un’immagine che tende a sbiadire, a perdere quella lucentezza viva che caratterizza la vita.
Cosa intendiamo però per lutto anticipatorio?
Quel periodo che precede la perdita durante il decorso
di una malattia cronica-degenerativa, come l’Alzheimer, dove malato e famigliari possono avere vissuti molto simili al lutto propriamente detto. L’atteggiamento dei famigliari contribuisce molto a condizionare le reazioni del malato di fronte alla malattia degenerativa. Viceversa, anche l’atteggiamento del morente influisce sulle reazioni della famiglia (Hofer, 1984). Il lutto anticipatorio (presente anche nel malato) è quella condizione che si protrae per un periodo piuttosto variabile e che intercorre a fronte di una serie di perdite: la perdita di funzionalità e integrità fisica, della mobilità, del ruolo famigliare e sociale, della vicinanza, e le perdite che si succederanno dopo la morte. Queste perdite “parziali” sottolineano i vissuti del malato, ma anche quello dei famigliari che devono affrontare la perdita della normale quotidianità, della sicurezza emotiva ed affettiva, economica, sociale ecc.
Nella demenza il lutto è perdita. Infatti, il malato di Alzheimer inizialmente deve fare i conti con qualcosa che non conosce e con il progredire della malattia, il suo percepirsi nel mondo si fa via via più sbiadito. La prima perdita tangibile è quella relativa alla memoria. La maggior parte delle volte il paziente inizia il suo percorso di malattia proprio da piccoli episodi in cui la memoria comincia a vacillare, fino poi ad evolvere in uno spazio temporale che prevalentemente è proiettato al presente e al passato.
L’orizzonte temporale (Fraisse, 1957) si è bloccato. Nella mente del paziente rimane molto viva la memoria autobiografica che, se stimolata, fa riaffiorare ricordi carichi di emotività. Il tempo dell’interazione duale rallenta, e i caregiver ne diventano consapevoli solo con il tempo. La perdita del concetto di tempo investe anche loro, che si ritrovano da un momento all’altro ad avere a che fare con un tempo che non sanno gestire, ma che necessariamente si vedono costretti a imparare a maneggiare con cura, tenerezza e affetto.
Ma la demenza porta con sé anche la possibilità di scontrarsi con il lutto per la perdita della persona malata. È piuttosto frequente che la mancanza in seguito al lutto di un caro scateni come naturale meccanismo di difesa, la negazione della perdita stessa, la difficoltà di riconoscerla come possibile e quindi il rifiuto di questo evento così drammatico. Quando la realtà inizia a essere riconosciuta in tutto il suo dolore, esplode una rabbia intensa che può abbattersi contro sé stessi, oppure contro persone che offrono sostegno e vicinanza o ancora nei confronti della persona defunta. Il lutto però investe tutto il sistema familiare: partendo da queste premesse risulta molto difficile separare in modo netto il sistema familiare dall’individuo quando questi è immerso in un evento luttuoso. Le caratteristiche della famiglia e le specifiche dinamiche relazionali che si innescano in seguito al lutto hanno un ruolo fondamentale nel determinare il decorso e il significato del lutto stesso. All’interno del sistema familiare la morte determina molteplici successive perdite: oltre alla scomparsa del deceduto vengono infatti a mancare i ruoli, i rituali, le relazioni, l’unità familiare, le speranze e la progettazione del futuro. La struttura familiare viene irreversibilmente modificata distruggendo il precedente equilibrio e i pattern di interazione abituali e conosciuti. Ciò rende necessario un processo di riorganizzazione delle relazioni e di ridistribuzione dei ruoli, in modo da compensare la perdita, contenere gli stress transitori e proseguire la vita familiare reinvestendo in nuove relazioni e obiettivi. Un importante aspetto di riorganizzazione riguarda il sistema familiare di credenze, che guida la costruzione di un significato per la perdita e che dalla perdita stessa viene influenzato (Asen et al., 1998).
Nella malattia di Alzheimer ci si deve confrontare inevitabilmente anche con il concetto di tempo. Se è vero che il tempo scandisce l’intera vita di un individuo, è ancor più vero che, nella malattia cronica neurodegenerativa, viene ad assumere un significato peculiare. È infatti il tempo che separa la vita dalla morte. Ma il tempo nell’Alzheimer è anche il tempo di chi si prende cura, dove le aspettative e i progetti si cristallizzano. Si assiste ad una temporalità che appare distorta, il malato di demenza fatica a connettere e dare significato alle connessioni stesse tra presente, passato e futuro mentre i caregiver si sentono imprigionati in balia di un tempo che non sono più in grado di osservare in modo funzionale. Durante le piccole perdite che precedono il lutto, il tempo presente rimane immutato e congelato, vincolando rigidamente le prospettive future. Queste perdite impongono i soggetti coinvolti a porsi domande sulla vita, sul significato della stessa, sui progetti e sulle relazioni. Tutto ciò obbliga ad un cambiamento non ricercato la cui portata, nella maggioranza dei casi, è fondamentale: gli effetti sono rilevabili a più livelli, spesso si modifica la propria visione del mondo, il sistema di valori, le premesse che ci guidano. Frequentemente si tratta di costruire un nuovo modo di stare nel mondo: cambia lo stile di vita; in questo caso la differenza che impone una differenza è come le persone affrontano il cambiamento, come si connettono ad esso (Cazzaniga, 2009).
La malattia e la terminabilità sono eventi naturali, spesso attesi, ma talvolta provocano nel nucleo familiare cambiamenti che diventano problematici e a volte patologici per la famiglia (Chiambretto, 2008).
Cosa intendiamo però per lutto anticipatorio?
Quel periodo che precede la perdita durante il decorso
di una malattia cronica-degenerativa, come l’Alzheimer, dove malato e famigliari possono avere vissuti molto simili al lutto propriamente detto. L’atteggiamento dei famigliari contribuisce molto a condizionare le reazioni del malato di fronte alla malattia degenerativa. Viceversa, anche l’atteggiamento del morente influisce sulle reazioni della famiglia (Hofer, 1984). Il lutto anticipatorio (presente anche nel malato) è quella condizione che si protrae per un periodo piuttosto variabile e che intercorre a fronte di una serie di perdite: la perdita di funzionalità e integrità fisica, della mobilità, del ruolo famigliare e sociale, della vicinanza, e le perdite che si succederanno dopo la morte. Queste perdite “parziali” sottolineano i vissuti del malato, ma anche quello dei famigliari che devono affrontare la perdita della normale quotidianità, della sicurezza emotiva ed affettiva, economica, sociale ecc.
Nella demenza il lutto è perdita. Infatti, il malato di Alzheimer inizialmente deve fare i conti con qualcosa che non conosce e con il progredire della malattia, il suo percepirsi nel mondo si fa via via più sbiadito. La prima perdita tangibile è quella relativa alla memoria. La maggior parte delle volte il paziente inizia il suo percorso di malattia proprio da piccoli episodi in cui la memoria comincia a vacillare, fino poi ad evolvere in uno spazio temporale che prevalentemente è proiettato al presente e al passato.
L’orizzonte temporale (Fraisse, 1957) si è bloccato. Nella mente del paziente rimane molto viva la memoria autobiografica che, se stimolata, fa riaffiorare ricordi carichi di emotività. Il tempo dell’interazione duale rallenta, e i caregiver ne diventano consapevoli solo con il tempo. La perdita del concetto di tempo investe anche loro, che si ritrovano da un momento all’altro ad avere a che fare con un tempo che non sanno gestire, ma che necessariamente si vedono costretti a imparare a maneggiare con cura, tenerezza e affetto.
Ma la demenza porta con sé anche la possibilità di scontrarsi con il lutto per la perdita della persona malata. È piuttosto frequente che la mancanza in seguito al lutto di un caro scateni come naturale meccanismo di difesa, la negazione della perdita stessa, la difficoltà di riconoscerla come possibile e quindi il rifiuto di questo evento così drammatico. Quando la realtà inizia a essere riconosciuta in tutto il suo dolore, esplode una rabbia intensa che può abbattersi contro sé stessi, oppure contro persone che offrono sostegno e vicinanza o ancora nei confronti della persona defunta. Il lutto però investe tutto il sistema familiare: partendo da queste premesse risulta molto difficile separare in modo netto il sistema familiare dall’individuo quando questi è immerso in un evento luttuoso. Le caratteristiche della famiglia e le specifiche dinamiche relazionali che si innescano in seguito al lutto hanno un ruolo fondamentale nel determinare il decorso e il significato del lutto stesso. All’interno del sistema familiare la morte determina molteplici successive perdite: oltre alla scomparsa del deceduto vengono infatti a mancare i ruoli, i rituali, le relazioni, l’unità familiare, le speranze e la progettazione del futuro. La struttura familiare viene irreversibilmente modificata distruggendo il precedente equilibrio e i pattern di interazione abituali e conosciuti. Ciò rende necessario un processo di riorganizzazione delle relazioni e di ridistribuzione dei ruoli, in modo da compensare la perdita, contenere gli stress transitori e proseguire la vita familiare reinvestendo in nuove relazioni e obiettivi. Un importante aspetto di riorganizzazione riguarda il sistema familiare di credenze, che guida la costruzione di un significato per la perdita e che dalla perdita stessa viene influenzato (Asen et al., 1998).
Nella malattia di Alzheimer ci si deve confrontare inevitabilmente anche con il concetto di tempo. Se è vero che il tempo scandisce l’intera vita di un individuo, è ancor più vero che, nella malattia cronica neurodegenerativa, viene ad assumere un significato peculiare. È infatti il tempo che separa la vita dalla morte. Ma il tempo nell’Alzheimer è anche il tempo di chi si prende cura, dove le aspettative e i progetti si cristallizzano. Si assiste ad una temporalità che appare distorta, il malato di demenza fatica a connettere e dare significato alle connessioni stesse tra presente, passato e futuro mentre i caregiver si sentono imprigionati in balia di un tempo che non sono più in grado di osservare in modo funzionale. Durante le piccole perdite che precedono il lutto, il tempo presente rimane immutato e congelato, vincolando rigidamente le prospettive future. Queste perdite impongono i soggetti coinvolti a porsi domande sulla vita, sul significato della stessa, sui progetti e sulle relazioni. Tutto ciò obbliga ad un cambiamento non ricercato la cui portata, nella maggioranza dei casi, è fondamentale: gli effetti sono rilevabili a più livelli, spesso si modifica la propria visione del mondo, il sistema di valori, le premesse che ci guidano. Frequentemente si tratta di costruire un nuovo modo di stare nel mondo: cambia lo stile di vita; in questo caso la differenza che impone una differenza è come le persone affrontano il cambiamento, come si connettono ad esso (Cazzaniga, 2009).
La malattia e la terminabilità sono eventi naturali, spesso attesi, ma talvolta provocano nel nucleo familiare cambiamenti che diventano problematici e a volte patologici per la famiglia (Chiambretto, 2008).